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Lele Scandurra: l'Etna, la pizza e i grani antichi.
E’ energico e dinamico tanto quanto l’attività del vulcano che ci domina, non a caso si autoproclama “Il pizzaiolo dell’Etna”.
Lele Scandurra è un giovane talento dell’arte della lievitazione. Intraprendente, sempre in fermento, elabora mille idee e riesce a concretizzarne mille e una.
Ora ha portato in auge ‘Botanike’, la pizzeria del rinomato Ikebana di proprietà della famiglia Merola, il locale più green di Catania immerso in un variegato parco che ospita palme ed ulivi, e si prolunga in un ricchissimo orto. Da qui, la brigata e lo stesso Lele, raccolgono verdure ed ortaggi che diventano ingredienti preziosi per le sue pizze.
Con Giovanni Merola, titolare Botanike, e Lele Scandurra
La materia prima e lo studio attento e scrupoloso di ogni impasto sono quasi un’ossessione per Lele, tra i primi pizzaioli a guardare alla qualità delle farine che seleziona tra le migliori italiane e siciliane. E per ognuna delle sue miscele tra più farine, sempre nuove, studia tecniche di impasto, modalità e tempi di lievitazione.
Il metro dei suoi sforzi è dato dall’enorme successo che ogni sera il suo prodotto riscuote. Quasi sempre sold out per quella pizza sottile, dal cornicione alto e soffice, che si scioglie in bocca e digeribilissima.
Nasce adesso la nostra collaborazione, perché Lele sente la necessità di rendere omaggio alle farine da grani antichi siciliani, che già conosce ed impiega ma sulle quali vuole perfezionarsi al meglio per proporre nel nuovo menù una base 100% grani antichi, dove il gusto del prodotto finito sia quasi tutto concentrato nella base. Ed io sono onorata e felice di poter lavorare insieme a lui!
Studia Lele, studia tanto, continuamente, perché ha sempre l’obiettivo di superare sé stesso e quando lo fa, ricomincia. Questa è la nota storia di chi non ha avuto nulla di già servito dalla vita, di chi ha costruito la propria identità con grande sforzo e sacrificio, ogni singolo giorno, imparando dai migliori, puntando al meglio ma rimanendo umile.
E non vede il successo di cui già oggi gode, è troppo impegnato a migliorarsi, a guardare avanti, come ogni fuoriclasse.
Pasta gratinata con cavolfiore violetto
Il cavolfiore violetto è un altro regalo dell’Etna ai sui coraggiosi abitanti.
E come tutto ciò che cresce sul terreno vulcanico, ha proprietà uniche ed un sapore straordinario.
Il suo colore viola intenso, deriva dalla presenza degli antociani, le preziosissime sostanze presenti nel terreno vulcanico, che possono ridurre i danni provocati dall’azione dei radicali liberi e contrastare l’insorgere di alcune tipologie di cancro.
Nonostante il suo odore molto forte in cottura, il cavolfiore violetto ha un sapore delicato.
La causa del caratteristico odore sprigionato durante la cottura, è la presenza dello zolfo. Ma è possibile attenuarlo spremendo nell’acqua della bollitura alcune gocce di limone, o aggiungendo una goccia d’aceto.
Le ricette a base di cavolfiore violetto nella tradizione siciliana, sono moltissime.
Dalla più semplice, che lo vuole lessato e condito con olio e limone, al famoso cavolfiore affogato, ricchissimo di gusto.
Antipasti, secondi, contorni, e, come nel caso di questa ricetta di pasta, primi piatti.
Tante sono le varianti di pasta con il cavolfiore violetto. In questa occasione, ho scelto di proporvi quella che generalmente preparo in qualche domenica d’inverno.
E’ la pasta della domenica innanzi tutto perché ci vuole un po' di tempo da dedicare alla preparazione, e poi perché la cottura va completata in forno.
E per me, la pasta al forno, è la pasta della domenica!
Ed è speciale per altri due motivi importanti. Il primo, è la presenza della “muddica atturrata” (pangrattatto abbrustolito).
Il secondo è l’unione felice con i prodotti da grani antichi siciliani.
Le penne di perciasacchi semintegrale Antichi Granai (acquistabili al link https://bit.ly/3aTqop0), rustiche e ruvide perchè realizzate artigianalmente, assorbono tutto il gusto del condimento e lo arricchiscono dei sentori del grano perciasacchi.
Ideali da condire e poi far cuocere in forno, dove mantengono perfettamente la loro consistenza.
Ecco la ricetta!
INGREDIENTI
500 gr penne di perciasacchi semintegrale Antichi Granai
1 cavolfiore già pulito da circa 300 gr
150 gr pangrattato
100 gr pecorino stagionato grattugiato
4 filetti di acciughe sott’olio
40 gr uva passa
1 spicchio d’aglio
250 passata di pomodoro
Olio extravergine d’oliva
Sale
PREPARAZIONE
- Tagliare in quarti le cime di cavolfiore e sbollentare per circa 10 minuti in acqua salata.
Scolare con un mestolo forato, e lasciare a gocciolare in un colapasta.
Lasciare l’acqua di cottura del cavolfiore in pentola e coprire con il coperchio.
- Sciacquare l’uvetta e metterla in ammollo ad acqua tiepida.
- In un tegame ampio, soffriggere l’aglio insieme a tre filetti di acciuga, precedentemente sgocciolati.
- Versare poi la passata di pomodoro; mescolare bene per fare insaporire e far cuocere per circa 15 minuti con un coperchio. Non serve salare, il pomodoro assorbirà la salinità rilasciata dalle acciughe.
- Aggiungere il cavolfiore e l’uva passa scolata e strizzata. Cuocere per almeno venti minuti, mescolando ogni tanto.
- In un’altra padella, soffriggere un’acciuga facendola sciogliere completamente. Versarvi il pangrattato e mescolare finchè si impregnerà d’olio. Continuare a fuoco lento, mescolando di frequente, per mezz’ora circa. Dovrà essere completamente di colore bruno.
Fare riprendere bollore all’acqua di cottura del cavolfiore. Cuocervi le penne per 8 minuti. Scolare bene e versare nel tegame in cui si è cotto il cavolfiore con gli altri ingredienti. Aggiungere il pecorino e mescolare per far amalgamare bene i condimenti con le penne.
Oleare il fondo di una teglia, versare la pasta, coprire lo strato superficiale con il pangrattato e ultimare la cottura in forno a 180°.
“Cantine In Cucina” , Enosteria Sicula ospita l’Etna di Benanti
Il terzo appuntamento con Cantine in Cucina, Il format ormai consolidato e di successo di Enosteria Sicula, ospiterà la cantina Benanti.
Segue il successo delle prime due serate, dove la prima ha visto partecipe Fondo Antico di Trapani e la seconda Feudo Montoni di Cammarata, il percorso verso un nuovo evento per Enosteria, un viaggio tra caratteri e fragranze della gastronomia di Gioacchino Sensale.
Gioacchino Sensale
Il resident chef, Ambasciatore del Gusto e membro di Euro-Toques, Gioacchino Sensale, abbina la sua arte ai vini siciliani.
Mercoledì 27 marzo sarà grandissimo onore per i titolari di Enosteria Sicula, Danilo Ciulla, Massimo Rallo e Piero Scelfo, avere ospite la cantina Benanti, storica e secolare azienda agricola etnea a conduzione familiare, realtà di fama sia nazionale sia internazionale, ed uno dei suoi titolari, Antonio Benanti.
Antonio Benanti
Come fin qui in ogni serata, il leitmotiv che caratterizza tutte le cene è la gradita presenza di produttori, enologi e brand ambassador che raccontano le proprie origini, storia e mission aziendale, coinvolgendo nelle disamine il pubblico dei commensali attraverso analisi, aneddoti ed eventi che riguardano la genesi delle etichette aziendali in degustazione.
Sarà rispettata come sempre la “regola” del one-to-one: ad ogni piatto sarà abbinato un vino diverso. Questa volta gradita eccezione sarà quella di avere due primi piatti e, di conseguenza, due vini differenti da abbinare. Le etichette sono selezionate da Marcello Malta, giornalista, degustatore ufficiale Ais Italia e consulente del ristorante, assieme a Livia Ricevuto, sommelier Ais e maître di sala. Ai commensali, che saranno gli assoluti protagonisti, andrà, vino dopo vino, diritto di parola per lo scambio di opinioni con gli ospiti della cantina, sia sugli abbinamenti alle portate sia sulle note organolettiche dei vini.
Il menù
Amuse-bouche
Sorpresa dello chef
Antipasto
Spatola fritta con susina sciroppata di Monreale, cipolla rossa in agrodolce e mandorle di Noto salate
In abbinamento: “Noblesse” Metodo Classico Brut
(100% Carricante)
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Primo piatto
Tortelli in brodo di pesce con cannella e limone
In abbinamento: “Pietra Marina” Doc Etna Bianco Superiore 2015 (100% Carricante)
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Secondo primo piatto
Gnocco di patate con seppia e salsiccia di suino nero dei Nebrodi
In abbinamento: Etna Rosato Doc 2017
(100% Nerello Mascalese)
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Secondo piatto
Agnello... profumo di griglia
In abbinamento: “Rovittello” Doc Etna Rosso 2014
(90% Nerello Mascalese, 10% Nerello Cappuccio)
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Dessert
Crema di ricotta con piccoli frutti rossi e cioccolato di Modica
Prezzo: 60 € per persona
Contatto Fb: Cantine In Cucina
Per info e prenotazioni:
Tel. +39 339 4531471
Via Torrearsa, 3 - 90139 Palermo
Grani antichi, ecosostenibilità e celiachia.
Il ritorno dei grani antichi è sintomo di una società che vuole invertire la rotta, avendo compreso di stare percorrendo la strada dell’autodistruzione.
Grani antichi non è il titolo un romanzo romantico dell ‘800.
E’ divenuto un concetto bandiera, portatore di ideali tendenti alla contro globalizzazione. Un fatto sociale che nasce dal disorientamento.
(Nello Blangiforti)
La contemporaneità in agricoltura si misura con il riappropriarsi della identità di un territorio, nella ricerca dei contadini di quelle che furono le sementi autoctone o adattate al loro contesto geografico.
“Oggi coltivare i grani antichi significa stare a passo con i tempi, volgere lo sguardo verso il futuro partendo da ciò che la natura ci ha regalato, una “retroinnovazione” che da più parti viene condivisa e che punta agli ordinamenti colturali alternativi basati sulla sostenibilità”
sostiene Il dott. Nello Blangiforti, ricercatore presso la Stazione Sperimentale di Granicoltura di Caltagirone.
Assistiamo al consolidamento di nuovi circoli virtuosi. La sostenibilità di micro-ecosistemi che si ripercuote a livello globale, la ritrovata rete di relazioni che si esplica nel rapporto tra i vari produttori e operatori di filiere corte, circoscritte nel raggio di pochi km e comunque sempre regionali. Fino alla riconquista, dopo più di mezzo secolo, del rapporto diretto tra produttore e consumatore, un rapporto di fiducia e nuove interlocuzioni sociali che si instaurano e si moltiplicano.
Si attua così la riappropriazione dell’identità territoriale, per chi produce e per chi consuma.
I benefici si ripercuotono a catena, già riscontrabili nel giro di pochi anni,
- Creazione di occupazione dovuta al recupero di aree rurali abbandonate
- Ilriassetto ed il ripristino paesaggistico altrimenti in stato di degrado ed abbandono
- L’ecosostenibilità, dovuta alla rimessa a coltura dei terreni
- Lo sviluppo di cicli produttivi che chiudano la filiera nel raggio di pochi chilometri
- Il recupero dell'agrobiodiversità
E nonostante le rese delle varietà antiche siano minori rispetto a quelle moderne, in compenso si adattano molto bene ai metodi di coltivazione biologica.
Continua il dott. Nello Blangiforti
“La salute sta al centro di questo nuovo paradigma. Alimentarsi in modo sano significa vivere più a lungo ma soprattutto meglio. Un alimento che proviene da sistemi a basso input è un alimento che rispetta la nostra salute e la salute della terra”
In Italia, il sistema di monitoraggio Okkio alla salute del Centro Nazionale di Prevenzione e Controllo delle malattie che fa capo al Ministero della Salute, riporta che oltre il 40 per cento degli italiani soffre di patologie dovute a un regime alimentare sbagliato.
Numerosi gli studi in corso, di diversi enti di ricerca, sulle correlazioni tra alimenti e problemi di salute, nonché tra l’uso di fitofarmaci e gravi, se non terminali, malattie.
La correlazione tra consumo di grani moderni e celiachia è ancora sotto osservazione,
“Al giorno d’oggi uno degli aspetti più interessanti della riscoperta dei grani antichi è il loro impatto più blando, rispetto ai prodotti alimentari ottenuti dai grani comuni, sulla malattia celiaca e sull’altra forma di intolleranza alimentare nota come gluten sensitivity (Carnevali et al, 2014)”. (1*)
Ed ancora
“Le relazioni che sussistono tra lo stile alimentare di ogni individuo e la sua salute sono ampiamente documentate e sono determinate da diversi fattori, tra cui la composizione e le proprietà delle materie prime alimentari, gli effetti dei trattamenti a cui sono sottoposte, nonché dai prodotti della loro digestione nel tratto gastro-intestinale”. (1*)
Nel dubbio, preferiamo consumare esclusivamente derivati da grani antichi siciliani biologici.
Foto dall'archivio della Stazione Sperimentale di Granicoltura.
(1*) https://www.enterisi.it/upload/enterisi/documentiallegati/ABSTRACTConvegnoAISTEC2017_13660_985.pdf
(2*)http://www.expo2015.org/magazine/it/sostenibilita/grani-antichi--una-risorsa-per-il-futuro.html
Food e Wedding, Etna da sogno a Monaci delle Terre Nere.
Basta una passeggiata tra i sentieri della tenuta Monaci delle Terre Nere, a Zafferana Etnea, per immaginarsi il giorno più bello, quello del fatidico sì, pronunciato sullo sfondo di una cima innevata, quella del vulcano più alto d’Europa che guarda al mare, a quel mare caldo che accoglie come un abbraccio e riporta a una terra al centro del Mediterraneo, da sempre crocevia di popoli, di tradizioni, simbolo della multi cultura, delle commistioni dei sapori e degli odori che da essa provengono. Un luogo che sa di dono della natura e di amore, tra il profumo dei fiori di zagara, dell’uva al tempo della vendemmia, dei fichi raccolti e delle ceste di vimini bagnate, del pane appena sfornato.
L’hanno immaginata e l’hanno fatta quella promessa d’amore decine di coppie straniere provenienti da Australia, Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Austria che hanno scelto Monaci delle Terre Nere, e la cucina dell’annesso ristorante Locanda Nerello, come location per festeggiare il loro matrimonio da favola. “Il numero delle coppie di sposi che hanno scelto Monaci è cresciuto molto in questi ultimi mesi, piace questo pezzo di Sicilia che è insieme territorio, tradizione e internazionalità, grazie agli standard che riusciamo a garantire, offrendo un luogo magico e una cucina dai sapori mediterranei”, è il commento del founder Guido Alessandro Coffa, il manager trapiantato in America che quasi dieci anni fa ha mollato tutto per tornare ad innamorarsi della sua terra.
Nei suoi 24 ettari di uliveti, agrumeti e vigneti, trasformati in una tenuta biologica, fonte di ispirazione e di materie prime eccellenti, Monaci delle Terre Nere è dimora e rifugio, allo stesso tempo, e il suo nome, riporta alla storia ultracentenaria dei luoghi, di terre fertili ai piedi del monte Etna, e di mura, che hanno raccolto la preghiera e l’opera dei frati. Presente e passato si fondono, con la stessa anima. Anche le materie prime, trasformate dalle sapienti mani degli chef di Locanda Nerello, diventano percorsi di gusto e non semplici piatti da portare in tavola. Menù dai sapori mediterranei che rispettano la stagionalità, esaltano il territorio, con tante verdure dell’orto, le carni tipiche della zootecnia locale e naturalmente, tanto pesce. Il pescato del giorno, scelto con cura dalla brigata, proviene dal mercato della “pescheria” di Catania, Riposto, Giardini Naxos.
Tra i piatti proposti da Locanda Nerello e particolarmente apprezzati dagli sposi per il loro wedding, sono i “fusilloni di Gragnano con frutti di mare crudi e cotti e cime di rapa”. Gli chef del ristorante di Locanda Nerello hanno scelto dal paniere delle primizie coltivate e raccolte dal vicino orto biologico, le cime di rapa, una verdura particolarmente buona in questo periodo dell’anno perché le basse temperature ne accrescono le sostanze benefiche come ferro e proteine nobili. Semplici e versatili, le cime di rapa abbinate in cucina con i frutti di mare, mitili e molluschi altrettanto di stagione come cozze, vongole, calamari, conferiscono alla pietanza gusto e personalità. Ad aggiungere estro a questo primo di pasta, è una punta di tartare di palamita.
Un altro piatto che sposa la filosofia di Locanda Nerello, del mix tra terra e mare è la “Triglia maggiore con panzanella di pomodoro appeso e bietoline rosse all’aglio”. La triglia è più preziosa in periodo dell’anno perché in amore, quindi, nel pieno del vigore, mentre le bietole, come tutte le verdure a foglia verde, sono un concentrato di benessere per l’alto contenuto di potassio, ferro, calcio, fosforo. Non tradendo le sue origini mediterranee, le bietole presenti in molte ricette della cucina nord africana, dell’Est Europa, della Turchia, vengono saltate in padella con olio evo e aglio. L’accostamento con la panzanella di pomodori appesi, ricchi di zuccheri non complessi e l’acidità citrica sufficiente per sgrassare la triglia, fa di questo piatto un tripudio di gusto pur nella sua semplicità.
Sicilia, la regione più desiderata.
Alla Borsa Internazionale del Turismo a Milano, la Sicilia afferma il suo primato di qualità, è la regione più scelta dai viaggiatori italiani per il turismo enogastronomico.
Il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci dichiara
«Sul piano turistico la Sicilia vive il suo momento magico. Dovunque andiamo, da Rimini a Verona, da Bruxelles a Berlino, i nostri stand sono i più visitati, i più graditi”
L’isola si trova al primo posto nella classifica, seguita dalla Toscana e dall’Emilia Romagna. A dirlo è il rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2019, presentato alla Bit di Milano.
I prodotti alimentari siciliani, riconosciuti e richiesti non solo Italia, contano numeri, da primato appunto.
Con 33 prodotti ad Indicazione Geografica e 31 vini a Denominazione, la Sicilia è la quarta regione italiana per numero di prodotti agroalimentari certificati, ma è anche la terza per numero di aziende agricole con vite e per numero di frantoi.
Incrementi importanti anche nel settore della ristorazione e per le aziende agrituristiche, che crescono in qualità dell’offerta oltre che in numero.
Alla scorsa BIT di Milano, l’immenso padiglione “Piazza Sicilia”, ha esposto i settori regionali di Turismo, Agricoltura, Territorio e ambiente, Attività produttive, Beni culturali oltre all’Istituto per l’incremento.
In primo piano, naturalmente, la promozione degli itinerari di viaggio più suggestivi, a cominciare dai cinque Parchi naturali regionali – Etna, Madonie, Nebrodi, Fluviale dell’Alcantara e Monti Sicani – che la Regione progetta di inserire in un’unica offerta di slow tourism all’interno del brand “Sicilia, Paradiso in terra”, e dai borghi siciliani vincitori, negli ultimi anni, di ben quattro edizioni del premio “Il Borgo dei Borghi”: Petralia Soprana, Sambuca di Sicilia, Montalbano Elicona e Ganci.
Ma ciò che in assoluto attrae di più, sono arancini, cannoli e cassate!
Best in Sicily - migliore trattoria siciliana l’Agriturismo Il Vecchio Carro
Ed è stato un giorno di festa, quello in cui Eliana e Giuseppe Oriti hanno ricevuto la notizia di aver ottenuto il premio di “Miglior Trattoria” per Best in Sicily 2019.
L’Agriturismo “Il Vecchio Carro”, di Eliana Carroccetto e Giuseppe Oriti, sita a Caronia (Me), nel cuore del Parco dei Nebrodi, è specializzata nell’allevamento allo stato semibrado di suino nero dei Nebrodi e nella produzione di salumi.
Ma la peculiarità per cui tutti vanno ghiotti, è la porchetta cotta nel forno a legna e affumicata con legno di ulivo secondo l’antica ricetta di famiglia.
Sono tanti i premi conquistati dall’Azienda per questa eccellenza, ed il riconoscimento di Best in Sicily è l’ennesima grande soddisfazione per il lavoro svolto in 20 anni di attività. La trattoria di Eliana e Giuseppe Oriti è apprezzata dalla clientela per l’altissima qualità dei prodotti accessibili a tutti per i prezzi contenuti. L’azienda propone una cucina tradizionale, con un’ampia varietà di antipasti di terra, salumi e formaggi, primi piatti e secondi a base di suino nero dei Nebrodi, presidio Slow Food.
Il 17 febbraio saranno loro i premiati per la dalla redazione del giornale enogastronomico Cronache di Gusto che da 12 anni ha istituito il premio dedicato alle eccellenze del gusto e dell’ospitalità. La premiazione si svolgerà a Catania al Teatro Bellini.
“Siamo felici e orgogliosi di aver ricevuto questo importante riconoscimento – hanno commentato Eliana e Giuseppe Oriti – e per questo ringraziamo la redazione di Cronache di Gusto e il Direttore Fabrizio Carrera. Continueremo a fare del nostro meglio e a svolgere ogni giorno il nostro lavoro con grande dedizione, come fatto in questi anni”.
La Cassata, vera origine di un dolce multietnico.
La cassata è primavera. L'associazione con i colori che la decorano potrebbe sembrare la motivazione più ovvia alla stagione e sicuramente ha avuto il suo peso nella mia scelta ma non è l'unica.
Era il dolce che si consumava durante la Pasqua, e ciò ha grande rilevanza in una comunità dove strettissimo è il rapporto tra i dolci ed il calendario liturgico, ma dove soprattuto si celebra la rinascita della natura più fertile e produttiva.
E' in questa stagione dell'anno infatti che i pascoli inverdiscono ed ovini e bovini producono il miglior latte per farne ricotta. Quest'ultima rappresenta uno tra i prodotti lattiero caseari tipici della Sicilia e si presta benissimo tanto alle preparazioni salate che a quelle dolci.
E probabilmente un embrione di cassata potè essere un piatto salato che poi nel tempo si è trasformato, arricchito ed evoluto nella versione che noi oggi gustiamo tutto l'anno. Questo dolce affonda le sue origini in un remoto passato, e nei secoli ha raccolto ed accolto nel suo composto le tracce di coloro che hanno vissuto per dominazione la trinacria.
Raccontare la storia della cassata può paragonarsi ad una di quelle occasioni conviviali in cui ci si accorda perchè ognuno partecipi con la propria specialità culinaria, ed alla fine la tavola che ospita si ritrova una commistione di generi, colori e sapori inaspettati. E allora è come se a questa tavola, dove ad ospitare sono i siciliani, fossero intervenuti gli arabi, che portarono zucchero, mandorle ed agrumi da candire, e gli spagnoli, che ci insegnarono a preparare il loro pane dolce e ci fecero conoscere il cioccolato.
I siciliani ci misero l'idea, la ricotta di pecora e l'arte delle monache del convento di Martorana che si esplica nelle bellissime e colorate riproduzione di frutti golosi. E' un dolce vecchio quasi quanto la storia della Sicilia, che parte dall'antica Grecia dove già esisteva un dolce con cacio e miele che i latini poi chiamavano caseus. Ma è abbastanza inverosimile che derivi da quel " qasat" arabo cui molti la ricollegano. L'ipotesi invece più attendibile è quella che ci fornisce il prof. Salvatore C.Trovato, docente di Linguistica, secondo cui deriverebbe da CAPSATA, in riferimento al procedimento con cui il dolce viene preparato.
La torta infatti viene composta dentro una tortiera, dove si alternano listarelle di pan di spagna con crema di ricotta dolcificata. Il pan di spagna va così a racchiudere la farcitura cremosa sia sopra e sotto che nei lati, ma qui alternandolo a listarelle di pasta reale. La torta viene poi posta sotto pressione anche per un'intera notte in modo da compattarsi.
Quindi quel CAPSATA che diventerà CASSATA, è un volersi riferire a qualcosa che si "incassa".
L'apice della bellezza del nostro dolce è raggiunto tra il XIX e il XX secolo, quando le decorazioni si arricchiscono con la frutta candita lucida e brillante e la glassa. A guardarla così, è proprio che una primavera per gli occhi.
Cavolo Trunzo di Aci, Re per Slow Food e al ristorante Locanda Nerello.
Presidio Slow Food, il Cavolo Trunzo, è apprezzato tanto per le sue proprietà benefiche quanto per la sua bontà. Il terreno lavico gli conferisce, oltre ai numerosi sali minerali e alle vitamine, soprattutto B6 e C9, anche il tipico colore violaceo, capace di influenzare il gusto del prodotto stesso.
Tra i custodi del cavolo trunzo, l’azienda agricola Monaci delle terre Nere di Zafferana Etnea ed il ristorante attiguo Locanda Nerello, secondo presidio Slow Food sull’Etna, riconosciuto dall’Unione Europea per la conservazione nel registro delle sementi, dove si continua a coltivare la verdura riutilizzando le vecchie tecniche basate sulla sostenibilità ambientale e sulla stagionalità dei prodotti. La tenuta è impegnata per la causa del movimento Slow Food, garantendo una produzione di qualità di circa una tonnellata all’anno.
“ Siamo pienamente coinvolti nella produzione di prodotti della terra di qualità - commenta il founder Guido Alessandro Coffa - ci sforziamo per una fornitura di auto-sostentamento per il nostro ristorante e il recupero del territorio, a partire dall’agricoltura. Essere presidio Slow Food del cavolo trunzo ci impegna molto e ci inorgoglisce, diamo il nostro contributo per mantenere in vita una produzione che, diminuita sin dagli anni Quaranta, soppiantata da produzioni più redditizie, rischia oggi di scomparire”.
Nella cucina di Locanda Nerello il Cavolo Trunzo arriva percorrendo neppure 100 metri dall’orto interamente coltivato secondo un regime di bio-sostenibilità, affidata alle mani laboriose degli agricoltori che lavorano in azienda, assieme alla produzione di 33 varietà di erbe e piante aromatiche, come salvia, menta, maggiorana, timo, lavanda, nepitella, che ricreano una mappa olfattiva ideale che conduce a scoprire il sottobosco tutto intorno all’Etna e i 155 tipi di piante autoctone. Arriva in cucina seguendo il ritmo delle stagioni, e viene celebrato in tutte le cotture e in mille abbinamenti, ma c’è un piatto che non manca mai in menu, da ottobre almeno fino a gennaio: l’insalatina di merluzzo su cavolo trunzo, arance candite ed olio Eco alle nocciole di Sant’Alfio. Il pesce particolarmente buono in questa stagione, viene marinato con scorzette di limone ed erbette aromatiche tritate, raccolte nel vicino orto.
Molti gli chef siciliani che hanno dedicato almeno una ricetta a questa semplice, buona e sana verdura, non solo della provincia etnea. Da Pino Cuttaia, 2 stelle Michelin, ristorante La Madia di Licata, che lo ha interpretato come un secondo di carne, farcito con acciuga, cavolo e mollica, servito su una bagna cauda rivisitata, insaporito di bottarga e cosparso di mollica essiccata in padella, che diventa la parte croccante, alla neo stella Alessandro Ingiulla, ristorante Sapio di Catania, con il suo stinco di vitello in crosta, aromatizzato con cavolo di Aci in lamelle sottili, misticanza di campo, crema di rape rosse e succo di carne ristretto.
Piatti dove l’estetica, la ricerca e la sperimentazione, esaltano un ingrediente apparentemente povero, ma ricco di preziosi principi nutritivi.
Ciambella all'arancia e cioccolato.
L’olio essenziale degli agrumi siciliani, che si esprime in fragranza, cadenza le stagioni.
Esplode quando i polpastrelli scostano la buccia, o la lama del coltello la ferisce.
Il limone fiorisce le quattro stagioni, ma verdello è estate.
Le arance, la bionda arriva nel tardo autunno per lasciare in inverno ampio spazio al sanguigno tarocco, il mio preferito.
Il mandarino addobbava il presepe, quando questo era povero. Le suore, al convento delle mie zie, usano ancora così.
Le scorze degli agrumi possiedono un valore inestimabile, quasi mistico, e mille virtù. Largo è il loro impiego in cucina, col dolce e col salato, regalando sentori di spiccata mediterraneità.
Utilizzare la buccia di un agrume vuol dire però essere coscienti che questa non sia stata trattata, o tutti gli effetti saranno vanificati.
Giosuè Arcoria, giovane agricoltore che da 20 anni porta avanti l’azienda di famiglia, da sempre nel settore agrumicolo, è più che un fornitore di fiducia. La sua produzione biologica di arance che crescono guardando l’Etna, risente della passione con cui egli stesso se ne prende cura. La scorza dei suoi agrumi è schietta quanto lui, e onora le mie pietanze.
Dalla città barocca capitale del cioccolato, Modica, Giovanni Cicero sperimenta continuamente su cacao, esotico secolarmente ambientato, e carrubo, autoctono racconto di un paesaggio mitico.
Ciokarrua infatti ha nome la sua officina, mia prediletta fabbrica del cioccolato.
Una farina di grano maiorca fine, che non vuol dire raffinata bensì semi integrale, è quella che mi ha fatto recapitare Gaetano Amoruso. Il suo mulino macina a pietra e no, in ogni caso ad arte.
E macina grani biologici, che coltiva nel territorio di Agira (EN), dove clima, terreno e semi di grani fanno l’amore.
D’inverno il forno s’accende ben volentieri, il profumo degli agrumi che invade d’un tratto la cucina mette di buon umore, la cioccolata è una coccola irrinunciabile. Il grano tenero, lo dice la stessa definizione, pretende che gli rendiamo tenerezza come sofficità, quella di un dolce che tutti possono permettersi, ma che certamente con grande qualità di materia prima, cambia status.
INGREDIENTI
- 250 gr farina di maiorca semi integrale MOLINO AMORUSO
- 200 gr zucchero di canna integrale
- 70 gr latte fresco intero
- 3 uova
- 100 gr burro artigianale Caseificio LA CAVA
- 150 gr cioccolata CIOKARRUA
- 1 cucchiaio cacao amaro in polvere
- 1/2 bacca di vaniglia
- 2 arance biologiche Az. AGRICOLA ARCORIA
- 1 bustina lievito bio
PREPARAZIONE
Nella planetaria versare le uova e la buccia grattugiata finemente delle arance, aggiungere lo zucchero ed impastare a velocità moderata per circa 15 min. Nel frattempo tagliare in due metà la bacca, prelevarne la polpa ed aggiungere.
Sciogliere il burro a bagnomaria e lasciar raffreddare.
Al composto di uova e zucchero, aggiungere a cucchiate la farina, poco per volta, procedere alternando alla farina anche il latte ed il burro, affinché il composto si mantenga sempre morbido.
Per ultimi, il cacao in polvere ed il lievito.
Ridurre a scaglie la cioccolata con un coltello, staccare la ciotola dalla planetaria, ed amalgamare l’ultimo ingrediente con l’aiuto di un cucchiaio.
Foderare la tortiera con burro e farina, versare lentamente l’impasto e cuocere a forno preriscaldato a 180° per circa 40 min.