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Il pane è sacro, ma ce ne scorderemo.
Perché adesso tutti desiderano preparare il pane in casa?
La sacralità del pane riemerge e si palesa alle generazioni ignare della traccia che ha segnato la storia dell’umanità. Ed ora, si manifesta il legame invisibile ma imprescindibile tra l’uomo e la sua originaria forma di sopravvivenza, il seme.
Semi ed acqua, si riscoprono fonti di vita.
Così, la corsa all’accaparramento di farina, l’attenzione quasi ossessiva all’ingrediente primo del nutrimento, è scaturita anche in chi mai aveva neanche lontanamente immaginato di cimentarsi in preparazioni casalinghe di lievitati.
Panifici e supermercati continuano a garantire gli alimenti, non è una necessità o comunque non lo è per la maggioranza. E non è neanche un modo come un altro per far trascorrere il tempo in casa.
È l’essersi scrollati, in brevissimo tempo, tutte quelle stratificazioni degli anni del progresso, della tecnologia, della conquistata libertà per le donne. Come se tutto d’un colpo i riflettori di una vita caotica e frenetica, spegnendosi, avessero costretto ognuno ad un confronto con sé stesso, con la propria natura di essere, umano e fragile, assoggettato ad un ecosistema che oggi l’ha vinta.
Improvvisamente si è passati dalle domeniche trascorse nella bolgia dei centri commerciali, dove il cibo non aveva nessun valore se non quello di colmare una fame capricciosa, al filo diretto coi mulini artigianali, che si ritrovano intasato l’e-commerce.
Ma chi li aveva mai considerati negli ultimi 60 anni i mulini?!
I mulini, il prezzo del grano schizzato alle stelle, l’accaparramento, sembra di essere nel dopoguerra. Quando la gente campava la famiglia col pane.
E forse ci è tornata la memoria ed è per questo che vogliamo di nuovo imparare a fare il pane.
Il pane è sacro, perché viene dal grano, e il grano è il seme della vita. È quel seme che ha dato il tormento e la soddisfazione all’uomo nella sua storia, perché la vita e la sopravvivenza delle popolazioni era correlata ai raccolti. Mesi di preghiere verso il cielo e lavoro con la testa china, per portare il pane sulla tavola di una famiglia. E se accadeva, era considerato un miracolo.
Adesso qualcosa è riemerso, ma non credo con consapevolezza.
L’uomo dimentica in fretta soprattutto gli eventi negativi e traumatici. Torneremo (tornerete) a mangiare pseudo-pane industriale precotto nei centri commerciali, pensando che quella sia la felicità.
Sfince di San Giuseppe
Sono giorni, questi, in cui le strade attigue alle pasticcerie siciliane, da oriente ad occidente, profumano di dolci fritture.
E mentre qui, in estremo oriente, le zeppole di riso trionfano in vassoi pesanti di miele, lì verso occidente San Giuseppe si onora con altra specialità.
La ricetta delle sfince nasce, secondo tradizione e consuetudine, ad opera di religiose.
Le suore del Monastero delle Stimmate di San Francesco a Palermo, preparavano le loro crespelle per poi ricoprirle con miele ed onorare così San Giuseppe.
Friabile bignè fritto, senza aggiunta di lievito di alcun tipo.
La versione originale prevede lo strutto sia nell’impasto che per la frittura, qui invece ho sostituito il burro, quello artigianale del caseificio La Cava.
Un risultato straordinario, per friabilità e gusto, mi è stato reso dalla qualità della farina di maiorca Antichi Granai, raffinata nella giusta percentuale per ottenere lievitazioni e fragranze di alta pasticceria.
INGREDIENTI
Per circa 20 sfince
- 250 gr farina di maiorca Antichi Granai
- 120 gr burro La Cava
- 300 gr acqua
- 4 uova fresche
- 1 pizzico di sale marino siciliano
- Olio di semi di arachide per friggere
Farcitura
- 200 gr ricotta senza sale
- 80 gr zucchero
- 80 gr cioccolato fondente ridotto in scaglie
- Granella di pistacchio
- Ciliegine candite
PREPARAZIONE
Farcitura
La ricotta deve essere stata preparata almeno un giorno prima dell’utilizzo e fatta scolare dal siero.
Setacciare la ricotta e mescolare con lo zucchero. Lasciare riposare due ore circa fuori dal frigo.
Sfince
Versare in un tegame acqua, burro e sale e portare a bollore.
Togliere la pentola dal fuoco e versare tutta in una volta la farina setacciata, mescolare energicamente e rimettere sul fuoco per qualche minuto ancora.
Versare in una ciotola e lasciare intiepidire.
Dopo circa 3 quarti d’ora, unire le uova all’impasto ed amalgamare per bene.
Scaldare l’olio e versare a cucchiaiate l’impasto, facendo per bene dorare le sfince.
Scolare su carta assorbente.
Tagliare ogni sfincia a metà e farcire con la ricotta. Decorare la parte superiore con altra ricotta, scaglie di cioccolato, granella di pistacchio e ciliegine.
Ciambella all'arancia e cioccolato.
L’olio essenziale degli agrumi siciliani, che si esprime in fragranza, cadenza le stagioni.
Esplode quando i polpastrelli scostano la buccia, o la lama del coltello la ferisce.
Il limone fiorisce le quattro stagioni, ma verdello è estate.
Le arance, la bionda arriva nel tardo autunno per lasciare in inverno ampio spazio al sanguigno tarocco, il mio preferito.
Il mandarino addobbava il presepe, quando questo era povero. Le suore, al convento delle mie zie, usano ancora così.
Le scorze degli agrumi possiedono un valore inestimabile, quasi mistico, e mille virtù. Largo è il loro impiego in cucina, col dolce e col salato, regalando sentori di spiccata mediterraneità.
Utilizzare la buccia di un agrume vuol dire però essere coscienti che questa non sia stata trattata, o tutti gli effetti saranno vanificati.
Giosuè Arcoria, giovane agricoltore che da 20 anni porta avanti l’azienda di famiglia, da sempre nel settore agrumicolo, è più che un fornitore di fiducia. La sua produzione biologica di arance che crescono guardando l’Etna, risente della passione con cui egli stesso se ne prende cura. La scorza dei suoi agrumi è schietta quanto lui, e onora le mie pietanze.
Dalla città barocca capitale del cioccolato, Modica, Giovanni Cicero sperimenta continuamente su cacao, esotico secolarmente ambientato, e carrubo, autoctono racconto di un paesaggio mitico.
Ciokarrua infatti ha nome la sua officina, mia prediletta fabbrica del cioccolato.
Una farina di grano maiorca fine, che non vuol dire raffinata bensì semi integrale, è quella che mi ha fatto recapitare Gaetano Amoruso. Il suo mulino macina a pietra e no, in ogni caso ad arte.
E macina grani biologici, che coltiva nel territorio di Agira (EN), dove clima, terreno e semi di grani fanno l’amore.
D’inverno il forno s’accende ben volentieri, il profumo degli agrumi che invade d’un tratto la cucina mette di buon umore, la cioccolata è una coccola irrinunciabile. Il grano tenero, lo dice la stessa definizione, pretende che gli rendiamo tenerezza come sofficità, quella di un dolce che tutti possono permettersi, ma che certamente con grande qualità di materia prima, cambia status.
INGREDIENTI
- 250 gr farina di maiorca semi integrale MOLINO AMORUSO
- 200 gr zucchero di canna integrale
- 70 gr latte fresco intero
- 3 uova
- 100 gr burro artigianale Caseificio LA CAVA
- 150 gr cioccolata CIOKARRUA
- 1 cucchiaio cacao amaro in polvere
- 1/2 bacca di vaniglia
- 2 arance biologiche Az. AGRICOLA ARCORIA
- 1 bustina lievito bio
PREPARAZIONE
Nella planetaria versare le uova e la buccia grattugiata finemente delle arance, aggiungere lo zucchero ed impastare a velocità moderata per circa 15 min. Nel frattempo tagliare in due metà la bacca, prelevarne la polpa ed aggiungere.
Sciogliere il burro a bagnomaria e lasciar raffreddare.
Al composto di uova e zucchero, aggiungere a cucchiate la farina, poco per volta, procedere alternando alla farina anche il latte ed il burro, affinché il composto si mantenga sempre morbido.
Per ultimi, il cacao in polvere ed il lievito.
Ridurre a scaglie la cioccolata con un coltello, staccare la ciotola dalla planetaria, ed amalgamare l’ultimo ingrediente con l’aiuto di un cucchiaio.
Foderare la tortiera con burro e farina, versare lentamente l’impasto e cuocere a forno preriscaldato a 180° per circa 40 min.