Food blogger per costrizione (delle amiche che vogliono sempre curiosare nella mia cucina). Vulcanica per influsso dell'Etna che domina il mio territorio, vivo pienamente la mia terra amandone e ripercorrendone i vari paesaggi.
Alterno con estrema versatilità la scarpa da trekking al tacco dodici, muovendomi in ogni caso con grande disinvoltura.
Il giornalismo enogastronomico la strada intrapresa, per dare concretezza agli studi in comunicazione ed alla mia passione.
La curiosità smisurata sull'origine del cibo e degli ingredienti motivo di continue ricerche e studi. Il gusto e gli altri sensi raccontati dalla Sicilia.
La primavera è spettacolo alla vista. La natura si esalta, espolde in un tripudio di colori e profumi che inebriano e quasi stordiscono. Come accade a noi abitanti dell'Etna che dalla fine di maggio veniamo travolti dall'odore intenso della ginestra. E' uno dei momenti dell'anno che preferisco, quando al mattino presto e sul calare della sera l'aria tiepida è intrisa di quel profumo pungente che scandisce il tempo, il tempo in cui le abitudini quotidiane stanno per cambiare, gli animi si addolciscono con l'aumentare delle temperature, ed anche le tavole cambiano il colore della veste. La cassata è primavera. L'associazione con i colori che la decorano potrebbe sembrare la motivazione più ovvia alla stagione e sicuramente ha avuto il suo peso nella mia scelta ma non è l'unica. Era il dolce che si consumava durante la Pasqua, e ciò ha grande rilevanza in una comunità dove strettissimo è il rapporto tra i dolci ed il calendario liturgico, ma dove soprattuto si celebra la rinascita della natura più fertile e produttiva. E' in questa stagione dell'anno infatti che i pascoli inverdiscono ed ovini e bovini producono il miglior latte per farne ricotta. Quest'ultima rappresenta uno tra i prodotti lattiero caseari tipici della Sicilia e si presta benissimo tanto alle preparazioni salate che a quelle dolci. E probabilmente un embrione di cassata potè essere un piatto salato che poi nel tempo si è trasformato, arricchito ed evoluto nella versione che noi oggi gustiamo tutto l'anno. Questo dolce affonda le sue origini in un remoto passato, e nei secoli ha raccolto ed accolto nel suo composto le traccie di coloro che hanno vissuto per dominazione la trinacria. Raccontare la storia della cassata può paragonarsi ad una di quelle occasioni conviviali in cui ci si accorda perchè ognuno partecipi con la propria specialità culinaria, ed alla fine la tavola che ospita si ritrova una commistione di generi, colori e sapori inaspettati. E allora è come se a questa tavola, dove ad ospitare sono i siciliani, fossero intervenuti gli arabi, che portarono zucchero, mandorle ed agrumi da candire, e gli spagnoli, che ci insegnarono a prepare il loro pane dolce e ci fecero conoscere il cioccolato. I siciliani ci misero l'idea, la ricotta di pecora e l'arte delle monache del convento di Martorana che si esplica nelle bellissime e colorate riproduzione di frutti golosi. E' un dolce vecchio quasi quano la storia della Sicilia, che parte dall'antica Grecia dove già esisteva un dolce con cacio e miele che i latini poi chiamavano caseus. Ma è abbastanza inverosimile che derivi da quel " qasat" arabo cui molti la ricollegano. L'ipotesi invece più attendibile è quella che ci fornisce il prof. Trovato, secondo cui deriverebbe da CAPSATA, in riferimento al procedimento con cui il dolce viene preparato. La torta infatti viene composta dentro una tortiera, dove si alternano listarelle di pan di spagna con crema di ricotta dolcificata. Il pan di spagna va così a racchiudere la farcitura cremosa sia sopra e sotto che nei lati, ma qui alternandolo a listarelle di pasta reale. La torta viene poi posta sotto pressione anche per un'intera notte in modo da compattarsi, . Quindi quel CAPSATA che diventera CASSATA, è un volersi riferire a qualcosa che si " incassa". L'apice della bellezza del nostro dolce è raggiunto tra il XIX e il XX secolo, quando le decorazioni si arricchiscono con la frutta candita lucida e brillante e la glassa. A guardarla così, è proprio che una primavera per gli occhi.
In siciliano ho sempre sentito pronunciare 'a stati ', oppure 'nda stati'. Nonostante l'origine della parola significhi calore, ardore, associo la suddivisione morfologica che ne ha costruito la forma dialettale, al piacere immenso che questa stagione porta con se, e dunque quello "stati" per me sta per " statti, restati, non andar via così di fretta", come si dice ad una persona cara che viene a farti visita in casa quando fa per alzarsi ed andarsene, e già si sente il vuoto al sentore che presto ci priverà della sua presenza. L'estate è la stagione in cui si rinsaldano meglio i rapporti sociali, perchè la piazza diventa più facilmente fruibile, ed è lì che la società paesana mette in mostra la sua identità. A tavola il caldo implica voglia di fresco, di pietanze leggere, di ortaggi appena saltati in padella, di insalate ricche, variegate e colorate. Ma in Sicilia questo può valere giusto a pranzo, quando i picchi di temperatura raggiungono il loro massimo. Quando invece la calura comincia ad allentare le padelle colme di olio si infuocano, per rinnovare i più buoni e succulenti tra i piatti tipici isolani. Finestre spalancate con lo scopo di aerare durante la cottura fanno invece sì che vicoli e strade siano pervase da profumi inebrianti di frittura di melanzane, peperoni e varie, che guizzano in olio d'oliva stimolando anche i più pigri appetiti già dalla fine del pomeriggio. Ma quello che diventeranno per l'ora di cena, che qui a sud lascia largo spazio a piacevoli aperitivi in piazza con gli amici, spostandosi a serata inoltrata, sono i capisaldi della nostra cucina: parmigiane, involtini di melanzane, caponate e peperonate in ogni versione e le irrinunciabili fritture di pesce. La cucina estiva è ricchissima e si veste di colori sgargianti ed invitanti, gli ortaggi prodotti in questa stagione sono quanto mai versatili ed anche per questo, suppongo, incontrano i gusti di chi, con altri vegetali non ha in genere un buon rapporto. Ma la ricchezza non sta solo negli orti, quella argentea luccica nei mari che circondano l'isola. Verga fu ispirato da Acitrezza quando narrò dei Malavoglia e per questo la mente corre subito al porticciolo dominato dal vulcano, ma il viaggio lungo le coste della Sicilia è un percorso costellato di una miriade di grandi e piccoli porti e di tonnare, che testimoniano il peso che da sempre il settore della pesca ha avuto nell'economia di questa regione. Sciacca, Marzamemi, San Vito lo Capo e moltissimi altri luoghi che oggi sono meta turistica di chi ha un forte desiderio di assaporare tutto il buono ed il bello del mare di Sicilia. Le calde notti estive rendono quasi meno duro il lavoro del popolo dei pescatori, i quali, prima che arrivi l'alba, rientrano carichi dei loro bottini che faranno felici tanti palati. Ogni stagione prevede le sue varietà di pesce, d'estate però sembra quasi d'obbligo doversene cibare più frequentemente, sarà che la voglia di mare diventa smisurata, sarà che è un ottimo pretesto per trascorrere serate all'aria aperta con amici, attorno a quelle tavolate che si animano tra le prelibate ricette della tradizione, gli ottimi vini siciliani che i più competenti si premurano di abbinare, e la conseguente allegria; sarà che in queste occasioni il cibo esplica uno dei suoi più importanti valori, riunire gli affetti in un momento di gioia.