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Chiacchiere alla siciliana
Carnevale è la festa del piacere,
del libero arbitrio, ma soprattutto dalla liberazione dei sensi di colpa.
Ed è per questo che da nord a sud, storicamente, in febbraio friggiamo dolci e li condividiamo allegria.
Chiacchiere - la parola inflazionata del mese.
E’il raviolo fritto che più ha avuto successo e distribuzione in tutta Italia.
Si affianca ad ogni ricetta regionale, quasi come il panettone.
Anzi, probabilmente ha eclissato altre preparazioni tradizionali come i cutumè di cui vi ho scritto la ricetta recentemente https://bit.ly/2SzNeee.
Cutumè
Io, Federica Genovese, devo sicilianizzare ogni ricetta passi per le mie mani. Per cui le mie (che spero diventeranno anche vostre) chiacchiere, hanno tutti gli ingredienti di origine della mia terra.
Ma la chicca è il marsala, il vino liquoroso. Assieme alla scorza grattugiata di arance bio e la farina da grani antichi siciliani.
La differenza tra la ricetta delle chiacchiere, ed altri dolci fritti di carnevale, sta nella consistenza. Le prime sono croccanti, friabili, sottili.
Tutte le altre ricette invece presentano frittelle morbide,
poi cosparse di zucchero semolato oppure di miele, come questi bocconcini semplici ma sfiziosissimi (qui la ricetta https://bit.ly/2SAtVRO).
Ma pure quelle ancor più golose farcite di crema o ricotta, come le succulente bignole (ricetta qui https://bit.ly/38Ebpxw ).
E’ un panorama abbastanza ampio, e ci si può sbizzarrire per accontentare i gusti di tutti.
Ma oggi, chiacchiere!
INGREDIENTI
- 1 kg farina di Farro monococco o Maiorca Antichi Granai
- 70 gr zucchero
- 150 ml marsala
- 100 gr burro
- 4 cucchiai olio evo
- 3 uova
- Buccia grattugiata di un’arancia bio
- Zucchero a velo per spolverare
- Olio per friggere
PREPARAZIONE
Nella planetaria versare la farina, lo zucchero ed il burro (questo deve essere morbido, quindi toglierlo dal frigo almeno un’ora prima), ed avviare la macchina.
Aggiungere la scorza grattugiata dell’arancia, poi in sequenza le uova, il marsala e l’olio extravergine d’oliva.
Se serve, ovvero se l’impasto è troppo duro, aggiungere un altro uovo.
Quando l’impasto è omogeneo ed elastico, togliere dalla ciotola della planetaria e riporre su una spianatoia leggermente infarinata.
L’ideale è spianare la pasta con l’apposita macchina, la “nonna papera”, perché la foglia deve essere sottilissima, quindi posizionate la macchina al livello minimo e passate l’impasto tra i rulli.
In alternativa…lavorare molto bene con il mattarello!
Quindi, con una rotella tagliapasta, ricavare dei rettangoli su cui fare degli intagli.
In un tegame ampio friggere l’olio, appena è bollente immergervi poco alla volta i rettangoli e muoverli con un forchettone o una paletta, rigirandoli.
La cottura deve essere breve altrimenti si bruceranno, per cui, appena dorate, colarle dall’olio in eccesso e riporle su carta assorbente.
Spolverare con zucchero a velo e servire.
Cutumè
La cucina siciliana è una continua risorsa di preziose sorprese dolci e salate, che ci vengono consegnate da un passato recente e da quello più remoto.
I dolci fritti e la ricotta.
Adesso che il tema è il carnevale, sfoglio i miei amati ricettari mentre già sento profumo di frittura dolce.
Mi fermo sulla pagina che riporta un nome curioso: Cutumè.
Una frittella a base di ricotta di pecora, appartenente alla tradizione gastronomica siciliana, nell’area geografica compresa tra Catania e Ragusa.
Ci sono nomi associati a cibi che alle volte mi passano accanto e poi e sfuggono, viaggiando parallelamente ai miei pensieri.
Però poi arriva il momento in cui si ripresentano davanti, quasi imponendosi. Quindi sento il desidero ma anche il dovere di comprendere, di provare quella ricetta e farla mia.
Così mi è capitato coi cutumè, sentiti pronunciare qualche volta distrattamente e mai, non so perché, attenzionati. Però associavo questo nome a delle paste secche, dei biscotti.
E invece eccoli nella sezione “dolci fritti” di uno dei miei libri di cucina.
Non ho trovato, ad oggi, fonti storiche o vicende legate alla nascita ed alle specifiche occasioni di consumo di questa deliziosa frittella.
E come di consueto ci sono diverse varianti: chi la vuole cosparsa di zucchero semolato chi invece di miele (miele di timo nel ragusano).
Cambiano anche notevolmente le dosi della farina in proporzione alla ricotta. Denominatore comune è che quest’ultima sia sempre di peso nettamente maggiore.
Anche sulla tipologia di farina utilizzata, solo in un caso si specifica debba essere di maiorca, per il resto non è esplicito, dunque forse non condizionante, se di grano duro o tenero.
Sta di fatto che non c’è lievito. Dunque la frittella dovrebbe rimanere bassa.
Nella mia ricetta, il volume invece si è triplicato in cottura, rendendola più somigliante ad una sfincia.
Certo, così è molto goduriosa.
Ho utilizzato la farina di farro monococco Antichi Granai (che trovi qui https://bit.ly/2UEnQFs), credo che parte del merito sia dovuto a questa scelta.
Siete curiosi quanto me di provare la ricetta?
Mettiamoci al lavoro!
INGREDIENTI
400 gr ricotta di pecora asciutta
250 gr farina di farro monococco Antichi Granai
50 gr zucchero
4 uova
1 cucchiaino di annella
1 pizzico di sale
Mezzo bicchierino di gin
Miele
Olio per friggere
PREPARAZIONE
1 – La ricotta deve essere stata preparata almeno due giorni prima, se non risulta perfettamente asciutta il risultato sarà compromesso.
2 – miscelare prima con un cucchiaio farina, uova, sale, zucchero e cannella. Aggiungere il gin e infine le uova. Sbattere per bene con la frusta elettrica.
3 – Coprire l’impasto e lasciare riposare almeno tre ore
4 – In una pentola ampia e dai bordi alti, versare l’olio e far raggiunge la temperatura utile alla frittura.
5 – Prelevare con due cucchiai l’impasto e, tentando di dare forma arrotondata, tuffare nell’olio bollente fino a doratura.
6 - dopo averle fatte scolare su carta assorbente, riporre su un piatto da portata e cospargere con miele caldo.
Pasta gratinata con cavolfiore violetto
Il cavolfiore violetto è un altro regalo dell’Etna ai sui coraggiosi abitanti.
E come tutto ciò che cresce sul terreno vulcanico, ha proprietà uniche ed un sapore straordinario.
Il suo colore viola intenso, deriva dalla presenza degli antociani, le preziosissime sostanze presenti nel terreno vulcanico, che possono ridurre i danni provocati dall’azione dei radicali liberi e contrastare l’insorgere di alcune tipologie di cancro.
Nonostante il suo odore molto forte in cottura, il cavolfiore violetto ha un sapore delicato.
La causa del caratteristico odore sprigionato durante la cottura, è la presenza dello zolfo. Ma è possibile attenuarlo spremendo nell’acqua della bollitura alcune gocce di limone, o aggiungendo una goccia d’aceto.
Le ricette a base di cavolfiore violetto nella tradizione siciliana, sono moltissime.
Dalla più semplice, che lo vuole lessato e condito con olio e limone, al famoso cavolfiore affogato, ricchissimo di gusto.
Antipasti, secondi, contorni, e, come nel caso di questa ricetta di pasta, primi piatti.
Tante sono le varianti di pasta con il cavolfiore violetto. In questa occasione, ho scelto di proporvi quella che generalmente preparo in qualche domenica d’inverno.
E’ la pasta della domenica innanzi tutto perché ci vuole un po' di tempo da dedicare alla preparazione, e poi perché la cottura va completata in forno.
E per me, la pasta al forno, è la pasta della domenica!
Ed è speciale per altri due motivi importanti. Il primo, è la presenza della “muddica atturrata” (pangrattatto abbrustolito).
Il secondo è l’unione felice con i prodotti da grani antichi siciliani.
Le penne di perciasacchi semintegrale Antichi Granai (acquistabili al link https://bit.ly/3aTqop0), rustiche e ruvide perchè realizzate artigianalmente, assorbono tutto il gusto del condimento e lo arricchiscono dei sentori del grano perciasacchi.
Ideali da condire e poi far cuocere in forno, dove mantengono perfettamente la loro consistenza.
Ecco la ricetta!
INGREDIENTI
500 gr penne di perciasacchi semintegrale Antichi Granai
1 cavolfiore già pulito da circa 300 gr
150 gr pangrattato
100 gr pecorino stagionato grattugiato
4 filetti di acciughe sott’olio
40 gr uva passa
1 spicchio d’aglio
250 passata di pomodoro
Olio extravergine d’oliva
Sale
PREPARAZIONE
- Tagliare in quarti le cime di cavolfiore e sbollentare per circa 10 minuti in acqua salata.
Scolare con un mestolo forato, e lasciare a gocciolare in un colapasta.
Lasciare l’acqua di cottura del cavolfiore in pentola e coprire con il coperchio.
- Sciacquare l’uvetta e metterla in ammollo ad acqua tiepida.
- In un tegame ampio, soffriggere l’aglio insieme a tre filetti di acciuga, precedentemente sgocciolati.
- Versare poi la passata di pomodoro; mescolare bene per fare insaporire e far cuocere per circa 15 minuti con un coperchio. Non serve salare, il pomodoro assorbirà la salinità rilasciata dalle acciughe.
- Aggiungere il cavolfiore e l’uva passa scolata e strizzata. Cuocere per almeno venti minuti, mescolando ogni tanto.
- In un’altra padella, soffriggere un’acciuga facendola sciogliere completamente. Versarvi il pangrattato e mescolare finchè si impregnerà d’olio. Continuare a fuoco lento, mescolando di frequente, per mezz’ora circa. Dovrà essere completamente di colore bruno.
Fare riprendere bollore all’acqua di cottura del cavolfiore. Cuocervi le penne per 8 minuti. Scolare bene e versare nel tegame in cui si è cotto il cavolfiore con gli altri ingredienti. Aggiungere il pecorino e mescolare per far amalgamare bene i condimenti con le penne.
Oleare il fondo di una teglia, versare la pasta, coprire lo strato superficiale con il pangrattato e ultimare la cottura in forno a 180°.
Frascatule ennesi
La polenta siciliana si chiama perlopiù frascatula.
Quella ennese nasce dalla miscela di farine di ceci e cicerchie, due legumi che nel territorio di Enna erano ampiamente coltivati.
L’Azienda Agricola Antichi Granai (https://www.antichigranai.com), che da generazioni coltiva e macina oltre ai grani locali anche i legumi, seguendo la tradizione ha elaborato la miscela idonea ad una facile realizzazione della tipiche frascatùle.
La ricetta più diffusa include broccoli e lardo, e poi ci sono anche le varianti con biete e finocchietto.
La frascatula ennese è buonissima appena preparata, ma ancora più goduriosa il giorno successivo.
Da fredda, si taglia a striscioline e poi a cubetti, e si soffrigge con crostini di pane da grani antichi siciliani (qui la ricetta del pane di perciasacchi https://bit.ly/2QSXBZH )
Il primo impasto è la farinata.
Farina e acqua, senza lievito ma cotta in acqua bollente e con l’ausilio di un mestolo o affine per mescolare.
Un pasto primordiale, embrione del pane.
Nel mescolare acqua bollente e farina, c’è uno dei più antichi gesti di sopravvivenza, forse, per l’uomo dopo la scoperta della gestione del fuoco.
Quasi certamente tra i primi impasti cotti, che impiegavano probabilmente prima cereali interi, poi spezzati e successivamente farine a grana grossa.
Posso immaginare questo percorso nei secoli, col passare dei quali, modifiche alla granulometria del cereale coincidevano con la realizzazione e l’affinamento dei mulini.
Cereali, poi legumi. In Sicilia è tanto diffusa la polenta di frumento quanto quella di legumi. Eppure, dopo la scoperta dell’America, arriva anche il mais. E questo conquista buona parte dell’Italia e dell’isola, determinando tre macro tipologie di elaborazioni per le farinate.
In Sicilia convivono ancora tutte, ma con le dovute differenze tra miscelazione delle varietà di farine, specialmente per quelle che impiegano i legumi, e i giochi linguistici sempre sorprendenti ed a volte non riconducibili all’etimo comune.
E’ il caso, ad esempio, della patacò a Licodia Eubea (Ct), a cui dedicano ogni anno una sagra. (Se vuoi scoprire una versione originale della ricetta clicca qui https://bit.ly/2uMIh8p ).
Ma anche la piciòta a Nicosia si differenzia notevolmente dai più comuni frascatùla, frascatùa etc. (1*)
Si arricchiscono le varie ricette di frascatule con verdure e carni, e rimane diffusa ovunque ed anzi, attesa pietanza nei giorni più gelidi, in cui la cucina originaria sembra il miglior conforto.
(1*) Vocabolario – Atlante della cultura alimentare nella “Sicilia Lombarda”, Salvatore C. Trovato e Alfio Lanaia. Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Palermo 2011. Pag. 391.
INGREDIENTI
1300 gr acqua
150 gr farina di legumi "Frascatule ennesesi" Antichi Granai
400 gr broccolo
100 gr lardo
1 spicchio aglio
Peperoncino
Sale q.b.
PREPARAZIONE
1.Mondare e lavare il broccolo e le sue foglie più tenere, tagliare in quarti le cime ed in tocchetti il tronco, sminuzzare anche le foglie.
2. In una casseruola dalle sponde alte, fare bollire l’acqua, salare e cuocere il broccolo per circa 20 minuti.
3.Nel frattempo, in una padella far rosolare l’aglio ed il peperoncino, ridurre in cubetti il lardo e soffriggerlo a fuoco moderato.
3. Scolare i broccoli ed insaporirli con il lardo in padella per 5/10 min.
4. Nell’acqua di cottura del broccolo, senza spegnere il fuoco, versare in più riprese la farina di legumi, e mescolare continuamente con un cucchiaio di legno per almeno 10 minuti.
5. Aggiungere ora il contenuto della padella, e continuare la cottura della polenta per circa 20 minuti.
6. Dovrà risultare molto densa.
7. Versare in un unico grande piatto, o suddividere in quattro porzioni e gustare calda.
Pennette semintegrali con alici e carciofi
Ora può capitare, e capita sempre più spesso, che alcune famiglie siano divise dalla scelta della pasta da consumare. Chi si è convertito all’integrale (in genere è la donna ad essere più sensibile al richiamo della genuinità), chi invece considera roba da dieta dimagrante la pasta scura (il resto della famiglia!).
Per stimolare i più scettici, al consumo della pasta prodotta con farina integra, si può ricorrere alla via di mezzo, la linea semintegrale dell’azienda Antichi Granai.
Ha colore e sapore meno “aggressivi” per chi non è abituato al vero gusto del chicco di grano.
La semola di grano antico siciliano perciasacchi, viene molita a pietra senza asportazione del germe, conservando così tutte le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del grano. Proteine, vitamine (B1,B2,PP,B6), magnesio, calcio, ferro, sali minerali ed altri oligoelementi naturalmente presenti nel germe sono assimilati dall’organismo quando scegliamo di consumare abitualmente i prodotti integrali o semintegrali.
L’idea errata, che si è diffusa negli ultimi decenni, sulla superiore bontà della pasta bianca, è solo uno dei tanti successi dell’industria alimentare che ha voluto l’appiattimento del gusto.
Un filo di buon olio extravergine d’oliva deve ad esaltare il gusto pieno e variegato della pasta Antichi Granai.
Ma cimentarsi in ricette stagionali sempre diverse appaga sicuramente di più, ed accelera il processo di accettazione e gradimento in tutta la famiglia!
INGREDIENTI
400 gr penne di perciasacchi semintegrali Antichi Granai
100 gr farina integrale perciasacchi Antichi Granai
200 gr alici freschissime già pulite
30 gr uva passa siciliana
6 carciofi
1 limone
Mezzo bicchiere di vino bianco
Sale integrale siciliano
Olio evo
PREPARAZIONE
- Sciacquare l’uvetta in un colino e poi ammollare in acqua tiepida per circa 20-30 min., dopodichè strizzare ed asciugare.
- Lavare per bene le alici con acqua e sale, far asciugare tutta l’acqua tamponandole con carta assorbente.
- Mondare i carciofi ricavando la parte più tenera, i cuori. Tagliarli a spicchi e lasciare in acqua fredda e succo di limone per circa 15 minuti.
- Scolare, asciugare per bene sotto l’acqua corrente.
- Scaldare l’olio in una padella antiaderente, appena è ben caldo versare i carciofi e l’uvetta, rosolare circa 5 min, aumentare la fiamma e sfumare con il vino bianco, rimoderare la fiamma e completare la cottura. Spegnere e lasciare nella stessa padella.
- Nel frattempo, passare le alici ben asciutte nella farina di perciasacchi, scuoterle in uno scolapasta per eliminare la farina in eccesso e friggerle in olio bollente. Appena cotte, con una paletta forata, raccogliere e passarle nella padella con i carciofi. Con una paletta di legno mescolare per amalgamare il condimento.
- Bollire l’acqua a cuocere la pasta al dente, riavviare la fiamma della padella e man mano versarvi la pasta. Continuare gli ultimi minuti di cottura delle penne in padella, aggiungendo qualche cucchiaio d’acqua di cottura.
- Completare il piatto a piacimento con prezzemolo tritato o finocchietto.
Crackers, la ricetta con farina Rosso di Sicilia®.
Una miscela di farine da grani antichi siciliani sta conquistando panifici e pizzerie in numero sempre maggiore, è Rosso di Sicilia, prodotto di punta della gamma “Le farine di Giovanni Billeri”.
La lunga esperienza nella molitura di Giovanni Billeri, lo ha condotto nella ricerca di una miscela perfetta per il suo ideale di pane, l’omonimo Rosso di Sicilia. Giovanni ha selezionato alcune varietà di grani antichi siciliani, per poi bilanciare le percentuali nelle farine e creare un perfetto equilibrio di sapori e profumi, esaltato dalla macina a pietra.
La versatilità della farina Rosso di Sicilia, facilita nell’ideare ricette sempre diverse, che siano nuove o personalizzazioni di quelle già esistenti.
Questa volta l’input è dato dal desiderio di poter portare fuori casa uno snack genuino, privo di conservanti e additivi e comunque a medio-lunga conservazione.
Così ho ideato i crackers aromatizzati, che mi supportano, insieme alla frutta secca, negli spuntini che intercorrono tra i pasti principali.
Quando si trascorrono intere giornate fuori per lavoro, è altissimo il rischio di avere attacchi di fame ed acquistare la prima cosa che ci capiti a tiro, ovvero prodotti industriali ricchi di sostanze per niente nutrienti e anzi nocive.
I crackers non subiscono gli effetti da sbalzi di temperature, per questo possono essere portati sempre in borsa con noi, placando la fame improvvisa senza intaccare la forma fisica.
A casa naturalmente si spalmano di qualunque cosa ci faccia gola! Dai formaggi freschi, ai patè; dalla marmellata alle creme dolci.
Nella ricetta che segue ho inserito una polvere di agrumi e finocchietto selvatico, aromi siciliani preparati da Sapori di Regalpetra, proprio perché ho pensato ad un consumo senza aggiunta di altri ingredienti, facendo sì che risultino più appetitosi.
Ingredienti
260 gr farina Rosso di Sicilia
180 gr acqua
1 gr lievito di birra
1 cucchiaio olio evo bio
1 cucchiaino sale
1 cucchiaio polvere di agrumi e finocchietto Regalpetra ( a piacere)
PREPARAZIONE
- Scaldare poco l’acqua, appena è tiepida sbriciolarvi il lievito e sciogliere bene.
- In una ciotola capiente versare la farina, aggiungere il cucchiaio di aromi e miscelare. Versare l’acqua con il lievito ed iniziare ad impastare, alla fine aggiungere l’olio ed il sale , continuare ad impastare finché diventa liscio ed elastico.
- Coprire con una pellicola e lasciare a riposare tre ore circa.
- Riprendere l’impasto, suddividerlo in panetti, stendere con il matterello delle lunghe strisce rettangolari, dello spessore di 2-3 millimetri.
- Suddividere i crackers con un coltello affilato o una rondella, tagliando prima in maniera decisa per formare il singolo cracker e poi delicatamente procedere con un unica linea orizzontale al centro per creare il punto di divisione.
- Bucherellare con uno stuzzicadenti le superfici, sistemare su una teglia ricoperta da carta da forno e far cuocere a 180° per 10- 15 min.
"Tiraddittu", l'azienda Valpilieri recupera un altro grano antico siciliano
Sorprendente l’agrobiodiversità siciliana, che ci regala sfumature di colori, odori e sapori in gradazioni innumerevoli.
Il mio cammino alla ricerca dei grani antichi siciliani, dell’autenticità del lavoro contadino, delle gemme preziose di madre natura, non può trovare confini in un’isola dove terra, mare e profondità vulcaniche sono antologia del pianeta terra.
Il grano antico siciliano ‘maiorca’, fino ad ora inteso solo quale grano tenero, è l’unica varietà di frumento “bianco” ripreso dai contadini negli ultimi anni.
Dalle varietà siciliane, in un percorso a ritroso, si sta svoltando alla varietà locale. La vera peculiarità della regione sta proprio qui, come per i dialetti, diversi nel raggio di 5-10 km, anche per i vegetali tra una contrada e l’altra, il terreno si presta meglio a questa o quella varietà, o persino la stessa varietà assume diverse caratteristiche.
Divulgare questa ricchezza rientra, suppongo, tra le mie “missioni”.
Adesso che ho scoperto una nuova, straordinaria, varietà di grano tenero, voglio condividere con voi le sue caratteristiche, i benefici del consumo, i profumi, i sapori, gli usi.
L’azienda agricola Valpilieri®, situata nel territorio di Niscemi (CL), ha selezionato un grano antico locale, coltivato da sempre nelle loro terre.
Il termine dialettale è “tiraddittu”, che per loro scelta commerciale diventa marchio Tiraditto.
E’ un grano tenero con glutine leggero, molto ricco in sali minerali e oligoelementi, funzionali e benefici per il nostro organismo.
La farina di Tiraditto possiede alti contenuto di selenio e magnesio, ed è preziosa fonte di fosforo, necessario per la crescita e lo sviluppo osseo dei bambini.
E’ ideale per la panificazione, la pizza casalinga ed i forni professionali. Sublima ogni dolce.
(Immagine di proprietà azienda agricola Valpilieri®, tutti i diritti sono riservati)
Presenteremo il prodotto in un corso in cui ci si metterà direttamente alla prova pratica con gli impasti.
La lezione sarà tenuta da Giovanni Zuccarello, chef e consulente per la prestigiosa Pizzeria Sazi e Sani.
Il locale, primo forno a Catania ideato per la divulgazione di prodotti a base di grani antichi, con lievitazioni lunghe, è il luogo che ospiterà l’evento.
Lo chef del locale Sazi e Sani, già da molto tempo impiega la farina di grano Tiraditto. Giovanni seleziona con gradissimo rigore la qualità delle materie prime, non solo per gli impasti. Prodotti artigianali e di alto valore qualitativo accompagneranno la degustazione dei lievitati.
Il corso è teorico-pratico, ogni partecipante metterà le “mani in pasta” facendo esperienza diretta delle caratteristiche della farina di Tiraditto.
Continuiamo insieme la ricerca e la scoperta del nostro patrimonio di biodiversità, ma per apprezzarlo realmente bisogna riconoscerlo e saperlo valorizzare, dietro indicazioni di chi ne ha già competenza.
Posti limitati!
Per info e prenotazioni inviare una mail a fooditinera@federicagenovese.com
Scacce ragusane con farina Rosso di Sicilia
La farina di Giovanni Billeri, Rosso di Sicilia, conquista ogni giorno nuovi professionisti del settore, ammaliati dalla moltitudine di profumi e sapori che questa miscela di farine riesce a sprigionare.
Oltre alla ricetta quasi standardizzata che Giovanni ha voluto per il suo pane, di cui abbiamo già parlato nell’articolo precedente (https://federicagenovese.com/index.php/le-mie-ricette/item/121-ricetta-pan-di-patate), è interessante “giocare” ad impastare con la semola da grani antichi siciliani Rosso di Sicilia. Lo si può definire un gioco quasi di magia, perché i profumi che esprime ogni volta si combini Rosso di Sicilia con ingredienti diversi, sempre diversi, lasciano stupefatti.
La semola integra macinata a pietra, deriva da una personale selezione di Giovanni. Una miscela unica da lui brevettata, che diventa sempre più apprezzata non solo da panificatori e pizzaioli.
Una ricetta facile per preparare le scacce ragusane con Rosso di Sicilia, è quella di base che ho trascritto sotto. Il ripieno è quello tradizionale, ma ho voluto elaborare l’impasto per lasciare spazio alla vostra fantasia.
SCACCE RAGUSANE
INGREDIENTI
Impasto
500 gr semola Rosso di Sicilia
300 ml acqua
3 cucchiai vino bianco
3 cucchiai olio d’oliva
5 gr lievito di birra
15 gr sale marino di Trapani
Succo di un limone
Ripieno
2 grandi cipolle rosse
500 ml passata di pomodoro bio
200 gr caciocavallo grattugiato
Olio evo
Sale
PREPARAZIONE
L’impasto
Sciogliere il lievito fresco sbriciolato nell’acqua intiepidita.
Sistemare la farina nell’impastatrice ed avviare la macchina, versare lentamente l’acqua, il succo di limone, il vino. Impastare per qualche minuto aggiungendo alla fine il sale e l’olio d’oliva. Quando l’impasto sarà liscio ed elastico, riporre per un paio d’ore una ciotola e sigillare.
Il ripieno
Affettare finemente le cipolle e soffriggerle, unire la passata di pomodoro e proseguire la cottura aggiustando di sale.
Assemblaggio
Stendere la pasta con il matterello fino a realizzare una sfoglia molto sottile, dalla forma rettangolare da suddividere poi quadrati.
Versare al centro della pasta il pomodoro, spolverare con il caciocavallo
A questo punto ripiegare le due fasce laterali verso l’interno.
Infine ripiegare a libro le due parti.
Spennellare con altro olio evo e infornare per circa 30 min a 200°.
Fusilli di tumminia Antichi Granai, con cavolo viola e briciole di pecorino.
Ci sono diversi modi di interpretare la cucina, intendendo con il verbo cucinare il rapporto che si instaura tra una data persona e l’universo cibo, dal seme primordiale all’ultimo ritrovato della tecnologia per la cottura o trasformazione o conservazione di un alimento.
Ma l’aspetto psicologico è quello più incidente nella relazione cibo- uomo, dove l’appagamento deve invadere tutti i campi sensoriali (nei paesi Sovra-sviluppati chiaramente).
Se hai fame, ed hai in dispensa un prodotto di alta qualità come la pasta da grani antichi siciliani Antichi Granai, basta una cottura al dente ed un filo d’olio extravergine d’oliva per un pasto appagante.
Se, oltre all’appetito, c’è voglia di mettersi alla prova, con i sapori, gli accostamenti, i colori, allora tutto diventa un gioco. Oppure una sfida, a fare sempre meglio, ad esprimere attraverso i cibi la propria creatività.
I fusilli già esprimono allegria per la loro forma. Una spirale che diventa perfetta per intrappolare la tonalità di gusto scelta.
Il cavolo, in genere, è sempre una scelta opportuna viste le sue proprietà nutrizionali, farlo apprezzare proprio a tutti è la parte un pò più delicata. Ma in un gioco di equilibrati contrasti e gioiosi colori, sono quasi certa di poter conquistare quantomeno la curiosità di molti.
La tumminia è un grano dal sapore deciso, che si contraddistingue rispetto alle altre varietà. Per questo non va bene con tutto.
Per questo dovete assolutamente provare questa ricetta.
INGREDIENTI
400 gr fusilli di tumminia Antichi Granai
1/2 cavolo viola
40 gr noci
150 gr pecorino stagionato grattugiato
1 bustina zafferano in povere
25 ml latte
1 spicchio di aglio
1/2 bicchiere di vino bianco
aghi di rosmarino
olio evo
sale marino di Trapani
PREPARAZIONE
- Mondare e lavare il cavolo verza, tagliarlo a listarelle.
- Sistemarlo in un tegame capiente con i bordi bassi, aggiungere un bicchiere d’acqua, coprire con il coperchio e far cuocere a fuoco basso.
- Scolare raccogliendo in un recipiente il liquido di cottura, lasciare nel colapasta ad asciugare.
- Nello stesso tegame, versare l’olio d’oliva a ricoprire tutto il fondo, aggiungere uno spicchio d’aglio e far rosolare. Aggiungere il cavolo e soffriggere per fare insaporire, sfumando con il vino bianco.
- Quando sarà ben rosolato, trasferire tutto in un recipiente dai bordi alti, versare un pò del liquido di cottura precedentemente messo da parte, un pizzico di sale e frullare. Aggiungere alla purea di cavolo le noci e qualche ago di rosmarino, aggiustando ancora di sale se necessario, e frullare ancora tutto finché si ottiene una crema.
- Durante la cottura della pasta, preparare il formaggio aromatizzato.
- In un padellino antiaderente, versare il pecorino e lo zafferano, quando è molto caldo aggiungere il latte e far sciogliere tenendolo ancora sul fuoco a fiamma media per qualche qualche minuto. Quando si sarà rappreso, far raffreddare e sbriciolare con le dita.
- Scolare la pasta al dente, mantecare qualche minuto con la crema di cavolo viola, impiattare ed insaporire con le briciole di pecorino.
Il tartufo siciliano. Raccolta, commercio e tutela.
Sempre più diffuso l’impiego del tartufo siciliano, apprezzato dopo un iniziale scetticismo anche nell’ambito della ristorazione dagli chef più attenti.
Ma non basta l’ entusiasmo, il tartufo siciliano è in cerca di identità e di regole. Sono tanti i cavatori siciliani, ma anche provenienti da oltre lo Stretto, ad approfittare di un sottobosco generoso ma che presto potrebbe irrimediabilmente impoverirsi per l’eccessiva pressione antropica. I Comuni siciliani, affannati nei tentativi di recuperare i buchi finanziari, potrebbero intercettare, così come accade in molte regioni italiane, nuove risorse dai diritti versati da chi, per diletto o per professione, si dedica alla ricerca e alla raccolta dei tartufi. Ma non solo. I tartufi possono rappresentare una valida alternativa di reddito (principale o integrativa) in un contesto economico fragile come quello delle zone interne, marginali e montane.
La raccolta e la commercializzazione dei tartufi spontanei e di quelli prodotti in tartufaie realizzate ad hoc in altre regioni italiane, infatti, è una attività ormai da tempo consolidata e regolamentata.
La Sicilia è riconosciuta tra le 14 regioni tartufigene italiane, ma a differenza di molte altre che rientrano in questo gruppo, non si è ancora dotata di una legge ad hoc che permetta di valorizzare questo prodotto del sottobosco vietando al contempo vere e proprie predazioni.
Delle difficoltà di oggi, del vuoto legislativo da colmare, delle esperienze delle altre regioni, ma anche delle interessanti potenzialità che i funghi sotterranei possono offrire, si parlerà nel corso del convegno “Norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela del consumo dei tartufi nella Regione Siciliana” che si svolgerà il prossimo 2 aprile alle ore 9,30 a Palazzo dei Normanni presso la Sala Piersanti Mattarella (già Sala Gialla) dell’ARS e durante il quale verrà presentato il disegno di legge di iniziativa parlamentare n.496/2019.
Il convegno, moderato da Sergio Ferraro Presidente Amet onlus, Associazione Micologica Econaturalistica Trinacria, dopo i saluti del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, On.le Gianfranco Miccichè, prevede il contributo di Giuseppe Venturella, ordinario di botanica forestale e micologia all’Università di Palermo e la presentazione del disegno di legge da parte del primo firmatario, il deputato Pd Nello Di Pasquale, Michele Catanzaro Vice Presidente della Commissione Attività produttive, Giusy Savarino, Presidente della Commissione Ambiente e del micologo Arturo Buccheri.
La proposta di legge depositata lo scorso 19 gennaio è stata elaborata grazie alla collaborazione del Centro di ricerca tartufo e tartuficoltura Sicilia, dell’Università di Palermo, Dipartimento SAAF e di alcune associazioni micologiche siciliane: “La ferula“ di Mazara del Vallo, Gruppo Micologico Siciliano onlus di Palermo, Associazione Micologica Econaturalistica Trinacria onlus di Palermo, Associazione micologica Padre Bernardino di Ucria, Associazione Micologica e naturalisica onlus “Micelia” di Palermo, gruppo micologico Akrense di Palazzolo Acreide.
Tra gli interventi anche quelli di due assessori: Edgardo Bandiera, Agricoltura, e Salvatore Cordaro, Ambiente. A seguire gli interventi programmati della nutrizionista Gabriella Perrone, dell’agronomo e forestale Giovanni Landini, di Marco Morara dell’Unione Micologica Italiana, di Antonino Iacono, presidente del Centro ricerca tartufo e tartuficoltura Sicilia, di Mario Tamburello, presidente del Gruppo Micologico Siciliano, di Mario Prestifilippo, micologo esperto cavatore di tartufi. Al presidente della Regione Nello Musumeci sono affidate le conclusioni.
L’iniziativa si conclude (alle 13,00) con le prelibatezze al tartufo siciliano proposte dagli chef Domenico Pipitone ed Andrea Davì.